Il narratore, raccontando la sua storia, si propone diversi scopi: divertire il pubblico, istruirlo, mostrare la sua arte, farsi apprezzare da tutti i presenti. Il messaggio non è mai assente dal testo, ma sovente si ha l'impressione che l'aspetto ludico prevalga sul contenuto.
L'arte del narratore non consiste nel narrare testi inediti, ma nel suo modo nuovo, originale, personale, di raccontare storie che tutti conoscono. La sua abilità e la sua arte risiede nella sua capacità di far reagire il pubblico, di interessarlo, di tenerlo costantemente con l'attenzione desta e in allerta.
Esistono dei narratori-artisti che sanno totalmente manovrare e dominare il pubblico da ammaliarlo. Per esempio Kwaku François di Koun Fao, Yao Fieni Gabriel di Koun Banoua, Louis Kwame di Koun Abronso, Yao Dongo e Kwaku Anoki di Anokikro.
Per raggiungere il suo scopo l'artista mette in opera una serie di tecniche "audiovisive". La sua arma principale rimane la parola. Il narratore è innanzitutto un artista della parola. La sa usare su tutti i toni, tutti i registri. ogni personaggio ha la sua voce propria. Ogni situazione, ogni stato d'animo sono resi con le modulazioni di voci corrispondenti. La sua voce sa sposare tutte le sfumature dei sentimenti-idee e attingere, nel dizionario infinito della natura, tutte le espressioni sonore possibili.
Il narratore non parla unicamente con la bocca, ma con tutta la sua persona. La sua parola è costantemente sostenuta da supporti stilistici, fonici, mimici. Egli "rappresenta" ciò che racconta con tutti i mezzi di cui dispone: toni di voce, gesti delle mani, espressioni del volto: naso, occhi, orecchie... movimenti della testa, contorsioni del corpo, silenzi, grida, passi di danza. Egli sa trasmettere e comunicare al pubblico le sensazioni visive, olfattive, uditive evocate dalle storie. Le scene sono rappresentate, visualizzate davanti all'assemblea che "vede" lo spettacolo svolgersi davanti ai suoi occhi, e che "giudica", valuta, la riuscita della rappresentazione.
Ecco allora una conseguenza importante. Durante la veglia poco alla volta si instaura una gara, un concorso, una competizione fra i narratori, specialmente i più abili. Ognuno cerca di fare meglio del precedente, di sorpassare coloro che sono intervenuti prima di lui. Alcune volte questa rivalità artistica è discreta, altre volte si manifesta palesemente. Può anche capitare che la competizione si restringa a due o tre attori.
Il 27 dicembre 1980 a Koun Fao, i due amici, Kwaku François e Anane Victor, si imposero poco alla volta su tutta l'assemblea. La seduta si trasformò in una competizione a due. Ecco alcune battute del loro dialogo:
"Lo sai che oggi noi due stiamo battendoci!" Si, stiamo battendoci, ma tu non hai ancora vinto! "Neppure tu, non mi hai ancora battuto!".
Questo antagonismo fra i narratori produce un'altra conseguenza a livello della successione dei testi all'interno della seduta stessa. Le storie non sono narrate a caso o, unicamente, secondo il gusto dei narratori, ma seguono principi precisi. Il narratore rimane condizionato dalle narrazioni anteriori. Nella storia che propone cercherà di correggere, raddrizzare, ri-situare, completare, altri testi narrati prima.
Si potrebbe chiamare questo fatto "il principio della ponderazione". La veglia rimane un gioco di equilibri. Nessun personaggio può avere la prerogativa totale del successo o della sconfitta. Dopo una storia, o una serie di storie, sui trionfi di Ragno e insuccessi di iena, per esempio, altre storie seguiranno col movimento contrario: trionfo di iena e disfatta di Ragno.
Questo non fa che tradurre una norma della ideologia bona che non ammette la riuscita totale di uno e l'insuccesso completo dell'altro. La verità sottesa è che nella vita non si è sempre vincitori. Gli sbagli, le imperfezioni, le sconfitte fanno parte della realtà umana.
Altre volte le storie sono più sfumate. Di solito Ragno incarna l'astuzia, e Iena la stupidità. Ma anche con tutta la sua sagacia a volte Ragno non può sottrarsi a sanzioni severe, mentre Iena, la stolta, saprà trarsi d'impiccio con uno stratagemma e un tantino d'inventiva.
In ultima analisi è il pubblico l'arbitro del gioco. Con le sue approvazioni, le sue reticenze, i suoi applausi, le sue riprovazioni, aperte o velate, i suoi silenzi, giudica e classifica i narratori. Appena il narratore entra in scena si espone al giudizio inesorabile del pubblico. Nello stesso modo in cui il pubblico sa apprezzare una bella storia, così non esita a sottolineare i difetti di un testo mediocre, o squalificare un narratore esitante o che sbaglia. Si sentirà allora mormorare: "non sa raccontare". Mentre un buon narratore è applaudito anche durante l'emissione della sua storia: esplosioni di risa, approvazioni a voce alta accompagnati da prolungati applausi.
Il 9 maggio 1982 a Koun Fao, Kwabena Kra André stava narrando una storia. Ad un certo punto ebbe un vuoto di memoria: non poteva più continuare il suo racconto. Qualcuno cercò di aiutarlo cantando due canzoni, ma il narratore non ha potuto continuare. Un pò più tardi ha voluto ritentare. Il pubblico non era d'accordo, ma riuscì ugualmente a prendere la parola. Non era nella forma migliore. Visibilmente stanco, non poteva esporre correttamente la trama. Il pubblico si mise a reagire, prima sottovoce, poi sempre più apertamente: stava "rovinando" il prodotto. Dominique Kwame Kra si avvicina e dice: "Stacca il microfono, sta rovinando tutto".
Questa reazione è rivelatrice di una deontologia della seduta narrativa. Il narratore non è completamente padrone della materia che tratta, non può usarla come vuole, soprattutto non può abusarne né deteriorarla. Questo patrimonio non gli appartiene.
Il suo compito è di trasmetterlo, di migliorarlo, abbellendolo, arricchendolo, di rendere più interessanti e attuali i testi antichi, ma non di impoverirli, o peggio ancora, rovinarli. Essi fanno parte del patrimonio culturale del gruppo che deve essere salvaguardato e trasmesso con fedeltà.
E' quello che si è cercato di fare in questa raccolta: rispettare scrupolosamente le "parole dette" e trasmetterle nella loro integralità.
Ogni seduta era registrata con un magnetofono, i testi poi trascritti in caratteri fonetici, e infine tradotti. Nella traduzione non ho mai esitato a fare appello al mio collaboratore diretto, Georges Kwabena, o ad altri anziani: Albert Kwabena e Louis Kwame, che mi hanno spesso spiegato testi oscuri, passaggi difficili, e offerto "chiavi" per comprendere alcuni canti.
Si tenga presente che le storie sono testi orali. Nella traduzione si è cercato di conservare, per quanto possibile, il carattere tipico del racconto orale: stile, immagini, frasi idiomatiche, astuzie del narratore, il suo periodare, la sua sintassi, le sue finezze, le ripetizioni, le interlocuzioni.
Qualche volta la traduzione ne ha risentito e si è appesantita. Mai come in questo caso il traduttore diventa "traditore". Si sono ridotti testi orali, con tutto ciò che comportano di dinamismo, espressività, vitalità, a testi scritti, inerti, senz'anima, morti. Ma si è voluto di proposito presentare una traduzione il più fedele possibile ai testi originali, anche a scapito della letterarietà, in modo da conservare qualche cosa del sapore originale.
Qualche esempio. Il narratore dirà: "Un seggio è sceso dal cielo, un lato era d'oro, l'altro lato pure era d'oro". Si potrebbe tradurre: "Un seggio è sceso dal cielo, i due lati erano d'oro". L'atmosfera della seduta ci fa preferire la prima traduzione. Infatti il pubblico si domanda inconsciamente: "Se un lato era d'oro, l'altro lato come era?". E il narratore: "L'altro lato pure era d'oro".
Nella storia "Il Figlio di Dio e la Strega", ad un certo momento la strega dice a Tiedu Bofuo, il figlio di Dio cacciatore che si era perduto in foresta: "Quando il riso è cotto tu ne mangerai un po', e io ne mangerò un po'". Si potrebbe tradurre: "Quando il riso è cotto ne mangeremo un po' ciascuno". Per le stesse osservazioni di cui sopra, si preferisce la prima traduzione.
Ad ogni modo un testo scritto non potrà mai rendere presenti i supporti stilistici del narratore, cioè gli elementi fonici, verbali e mimici. Così perde gran parte della sua bellezza, ricchezza, sapore.
A conclusione di queste note si potrebbe fare nostra, ma con parecchie sfumature, l'osservazione di Lévi-Strauss a proposito del mito..."Il valore del mito persiste malgrado le peggiori traduzioni...qualunque sia la nostra ignoranza della lingua e della cultura della popolazione in cui si è raccolto il testo, la sostanza del mito non si trova né nello stile, né nel modo della narrazione, né nella sintassi, ma nella storia che è raccontata. Questa dimensione rimane inalterata nella traduzione".