Segreta per sua natura, l’iniziazione sfugge all’intelligenza del profano, cioè
di chi resta solo davanti (pro) alla soglia, all’entrata (fane) soprattutto all’intelligenza
di ogni occidentale.
L’iniziazione si può considerare un cammino dinamico, che mette progressivamente
la vita di un Vodun in una persona, da lui "uccisa", fatta rinascere (hunfifon)
e crescere in un ambiente protetto (vodunkpamè) per dei mesi; da lui
"posseduta" e consacrata. L’iniziazione è lunga e fisicamente dura;
in passato consisteva in tre anni di reclusione nel vodunkpanè; oggi è
ridotta a tre mesi.
Che cosa avviene all’interno del convento durante l’iniziazione ? Questa
clausura è composta di una capanna-dormitorio, di un angolo-servizi igienici, di
una capanna-cucina: il tutto disposto intorno ad un vasto cortile, ma all’interno non vi
è né Vodun né altare in suo onore. Gli altari ed i piccoli tempi
vodun sono di solito situati in luoghi pubblici o in spazi aperti dove facilmente
possano aver luogo processioni e danze spettacolari. Il convento è un luogo
chiuso, dove la clausura è stretta; tuttavia il muro non è alto e la
porta non ha serratura. Il primo giorno gli ospiti sono avvertiti "Se fuggi, non
farai più di tre passi... il Vodun ti ucciderà".Questo dunque è
un luogo dove regna la paura del Vodun; ma non si deve credere che i "novizi"
siano formati a colpi di frusta o di bastone. Io non ho mai notato sul loro corpo la minima
traccia di colpi: eppure sono praticamente nudi, eccetto un piccolo panno intorno ai reni.
In passato la nudità totale era obbligatoria per tutti, ragazzi e ragazze di ogni
età, poiché il Vodun li voleva allo stato naturale.
Nessun "straniero" o profano può varcare la clausura del
vodunkpanè... eccetto il prete cattolico ! I preti del Vodun (vodunnon)
considerano i preti di Gesù Cristo, in qualche modo, come dei confratelli,
e persino superiori, perché sacerdoti del Dio stesso. Così io ho
sempre avuto accesso libero ai conventi Vodun; alle mie visite i futuri vodunsi
si prostravano con la fronte nella polvere ( fi ori ba ilé, mettere la
testa per terra), e intonavano i saluti nella loro lingua sacra.
Molti si chiedono quale sia la pedagogia usata in questi conventi,
che permette in così breve tempo di imparare una lingua sacra, dei riti
così complicati, delle danze acrobatiche. Si direbbe che la paura reverenziale
del Vodun doni le ali alla loro intelligenza, alla loro memoria, senza bisogno di
punizioni. Stupisce anche il fatto che un certo numero delle loro attività
sono notturne: non è raro sentirli salmodiare incantesimi o cantare alle tre
di notte. Nel loro programma ci sono anche 41 lingue....! Ma in realtà solo
due sono le lingue usate:
- il nago, e più precisamente il dialetto
itcha della regione di Dassa Zumé, paese delle 41 colline (so kandé lissa)
- il mahi, della regione di Savalou, un po’ più
a nord.
Le due lingue sono la base di varie combinazioni, di giochi di parole, di indovinelli,
di saliti, di incantesimi e di canti...
I seguaci consacrati al Vodun "sakpata" imparano ed usano soprattutto il nago;
quelli del Vodun "dan"(serpente) usano soprattutto il mahi.
Queste due lingue sono state "sacralizzate" alterandone la pronuncia ed
intercalando delle interiezioni ed esclamazioni più o meno misteriose.
Non solo il numero 41, ma anche altre cifre sono importanti e sacralizzate.
Per i defunti, ad esempio, c’è una cerimonia detta "del 41° giorno".
Altre curiosità numeriche:
ci sono delle invocazioni e dei gesti da ripetere 7 volte o 9 volte, a seconda che si
tratti di una donna o di un uomo.
Ma la formazione nel convento non consiste solo nell’imparare una lingua
sacra, ripetere notte e giorno incantesimi, eseguire danze più o meno acrobatiche.
C’è nel Vodun qualcosa di più, una certa filosofia pragmatica, una morale
basata sul senso della comunità: è male tutto ciò che va contro il
bene comune della famiglia, del villaggio del gruppo.
Questo viene insegnato tramite racconti e proverbi. Così l’iniziato capisce di
essere stato preso dal Vodun, per essere solo al servizio della comunità: solo
un membro della comunità può essere iniziato per il servizio della sua
comunità. L’iniziazione di uno straniero sarebbe assurdo.
Mi fa sorridere l’affermazione di certi etnologi - anche celebri ! - che pretendono
affermare di essere stati iniziati!
Un vodunnon a cui avevo chiesto se un europeo può essere iniziato al Vodun
mi ha risposto "Sai... il bianco è uno straniero; allora bisogna accoglierlo
bene...e poi, ha del denaro...Allora gli si fa veder qualcosa. Ma ciò che sta nel
fondo della calebasse, lui non lo vedrà mai !"
Un altro vodunnon al quale facevo la stessa domanda, mi ha risposto in modo categorico:
"Nel Vodun non ci sono volontari...il Vodun "uccide" chi lui vuole!"
Qui è da notare qualcosa di importante: ciò che ha corrotto
il Vodun - cioè com’è praticato ad Haiti, Cuba, in Brasile -.è
il fatto di aver perso il suo fondamento, cioè il suo senso comunitario, e
ciascuno usa il Vodun per il proprio interesse.
Alcuni Brasiliani venuti in Benin per le annuali feste in onore della religione
tradizionale, mi dicevano " Da noi l’iniziazione è volontaria...; nel
corso della cerimonia tu entri in transe, il Vodun ti "cavalca": Ma a
dire il vero, eri già andato, qualche giorno prima, a consultare un "hungan"
o una "hunsi"."
Ci sarebbe molto da dire sulle tecniche di iniziazione, ma mi ha impressionato soprattutto
l’importanza data ai simboli, sia gli oggetti che i gesti; in particolare ora che la nostra
liturgia cattolica si sta impoverendo a questo riguardo. In fatti, che cosa rimane del nostro
rituale, dei segni, dei gesti, dei simboli che davano alla liturgia romana non solo una
solennità straordinaria, ma anche un signoficato profondo e dun gran senso di Dio.
Ciò che mi colpisce nella loro iniziazione è la sua completezza: l’iniziazione
è molto più impressionante - nel vero senso della parola- e più
completa che le nostre catechesi. Infatti, per noi cattolici romani, l’insegnamento
religioso è più o meno un insegnamento come gli altri... e si dimentica
in fretta. Nell’iniziazione Vodun invece tutto il corpo viene toccato, messo alla prova,
dalla testa ai piedi: come l’essere nudi di fronte al Vodun, la testa rasata,, essere
massaggiati con il sangue di capra, essere "battezzati" con acqua lustrale
nella quale sono immerse foglie di alberi speciali, l’isolamento in una capanna
(dékononhué, casa della ricchezza) dove ti sono fatti dei tatuaggi
profondi e dolorosi... dei quali però in seguito sarai fiero.
All’uscita
da questa casa della ricchezza dovrai sostenere un esame davanti ad una commissione
di preti dei feticci: Col corpo unto di olio di palma, con gli occhi chiusi, dovrai
recitare, cantare, danzare- per due ore- tutto un campionario di ciò che hai
imparato nel convento...
Vi garantisco che il giovane o la ragazza che sono passati attraverso queste prove,
difficilmente potranno dimenticare o allontanarsi dalla loro "fede".
Per meglio capire il significato di questa iniziazione, ecco qui due proverbi dai
canti degli iniziati:
La miglior conoscenza è quella che conduce l’uomo
verso l’uomo.
Se non puoi impedire a tuo fratello di cadere, se cade, cadi con lui ...
Questi ritornelli fanno capire il senso profondo del Vodun ed il
passaggio del vodunsi dalla morte a se stesso ad una vita nuova per la
comunità. Per il Nero, esistere significa solo esistere dentro e
per una comunità.
Per soddisfare questa aspirazione profonda, la comunità famigliare e
tribale si è data dei ministri e dei guardiani con dei poteri speciali
messi al servizio del bene comune.
I capi, che a volte possono essere anche donne, sono i "vodunnon".
Gli iniziati (uomini e donne) sono i vodunsi. (La parola "non", significa
colui/colei che possiede). Si può anche dire Hunnon e Hunsi, , poiché
Vodun e Hun sono sinonimi. I capi responsabili dei conventi (vodunkpamè) sono
gli Hungan. Costoro hanno dei servitori non iniziari, incaricati di assicurare
cibo al convento, ordine nelle cerimonie pubbliche... Gli "interni" non
ancora iniziati, mentre stanno nel convento sono chiamati "kuuvi"
(figli della morte). Durante il mese che scorre fra l’iniziazione ed il momento
del loro comgedo, per tornare alle loro famiglie (da notare che tutti, maschi e
femmine sono diventati "spose" di un Vodun e sono chiamati Sakpatasi o
Dansi o Héviessossi) i nuovi Vodunsi, vestiti di un panno viola ed armati
di un bastone, fanno uscite aggressive senza dubbio per mostrare di essere ormai
guardiani/e della comunità; poi passeggiano nei villaggi, nei mercati chiedendo
dei regali. Allora sono chiamati Ahuansi. Questa lunga iniziazione termina con la
celebrazione di una grande festa pubblica, che riunisce tutto il villaggio e quelli
vicini, i capi, i notabili della corporazione: vodunnon vodunsi.
I tam-tam si scatenano e durante le danze più o meno acrobatiche,
ogni iniziato proclama ad alta voce il suo nuovo nome: guai a chi non ne terrà
conto e lo dimenticherà!
Ogni tipo di potere è corruttore; ancor più un potere così
assoluto qual è il Vodun. Capita a volte che l’interesse personale di un vodunnon
o di un bokonon ( indovino che consulta il Fa) li trascini verso degli abusi di potere o
scivolare verso la magia. Costoro possono così manipolare le forze invisibili
al profitto di un solo individuo, a scapito del loro vero fine, cioè il bene della
comunità.
Si cade allora nel commercio di gri-gri, di amuleti, di armi offensive (bo) o
di armi difensive (glo).
Ci vuole un gran senso dell’onestà, del disinteresse, del bene comune,
per controllare i poteri occulti, senza lasciarsi trascinare nella stregoneria.