Nella mitologia Akan, gli esseri e gli oggetti che popolano l'universo sono creature di Odumankaman e dell'uomo.
Odumankaman ha creato gli esseri e gli oggetti, materiali e immateriali. Tra quelli non materiali, gli Akan annoverano:
la parola, gli spiriti, i geni e l'aria. Nell'altro gruppo: l'acqua, la terra, la pietra, i metalli, la flora la fauna
e gli uomini. L'artefice dell'universo ha creato anche gli esseri animati e gli esseri inanimati. Tutte queste creature
sono nate prima dell'uomo, e sono esseri che nascono, vivono e muoiono. Così la roccia morta diventa sasso,
il sasso morto diventa sabbia, la sabbia morta diventa polvere considerata come cellula di base della pietra.
L'uomo, imitando l'azione del creatore divino, ha creato oggetti astratti e oggetti materiali. Nel primo gruppo, gli Akan
annoverano le istituzioni sociali e nel secondo gruppo le armi, gli utensili, le suppellettili, la casa, i mezzi di
trasporto e gli ornamenti del corpo. Gli informatori spiegano che l'uomo ha completato la sua opera creando, come
Odumankaman, esseri animati che nascono, vivono, si nutrono e muoiono. Gli Akan alludono agli strumenti fabbricati
con metalli naturali. Sono questi ultimi, dicono, che conferiscono alla macchina il suo principio di vita poiché
il metallo, creatura di Odumankaman, possiede un principio di vita.
Lo spirito dell'oro
E' in questo contesto generale che si pensa che l'oro, metallo che si trova allo stato puro in natura, non è una creatura semplice, è il metallo dei metalli, è il più nobile, poiché inalterabile ed eterno. L'oro possiede uno spirito forte e temibile, ha nel gruppo dei metalli lo stesso ruolo che l'uomo ha nel gruppo dei mammiferi. Essere vivente l'oro non dimora in un luogo nella natura ma si sposta da un punto all'altro della terra. Può rendersi visibile ed invisibile. in pepita è vivente; morto diventa polvere. Pepita e polvere d'oro hanno ruoli ben precisi nella società Akan.
Non è raro sentir dire qui che l'oro è nell'aria e nel cielo sotto forma di arcobaleno; si trova anche nell'acqua, e ciò spiega il fatto che l'arcobaleno si veda solo dopo la pioggia. L'oro si trova nei luoghi montagnosi dove la terra è nera, nei letti dei fiumi e sovente nei luoghi in cui l'igname nasce spontaneamente. Quando l'oro esce dalla terra per mostrarsi in cielo come arcobaleno, abbaia come un cane e la sua uscita è sempre preceduta da un intenso fumo. L'oro parla, parla come un cane, abbaia. il cane è il simbolo del fuoco e anche dell'oro.
La tradizione popolare consiglia, a chi si trovasse in presenza di fumo che esce dal fianco di una collina di svestirsi e di gettare il suo copri-sesso dalla parte dove esce il fumo. Toccato dal copri-sesso, il fumo si materializza e si trasforma in pepita d'oro. Prima di impadronirsi di questo metallo fresco si consiglia di cospargerlo con il sangue sacrificale di un pollo, di un montone o anche di qualche goccia di sangue di colui che è testimone del fenomeno. in possesso delle pepite, il fortunato beneficiario, se non è solo, non deve rivolgere parola ad alcuno. E' anche tenuto a presentare il suo bottino ad un albero prima di raccontare il fatto ad un vicino. Si dice che mostrare a qualcuno l'oro trovato nel suolo o nel letto di un corso d'acqua provochi la morte a breve termine di quest'ultimo.
L'oro trovato nella natura non deve essere commercializzato poiché è un regalo offerto dalle divinità e dai geni e per questo motivo rimane intimamente legato all'anima, alla fortuna, al destino di colui che l'ha trovato. Trovare l'oro nella natura è un felice presagio, e perciò l'oro si mostra solo a qualche raro privilegiato che gli dei hanno deciso di rendere felice. Al contrario, trovare o avere l'oro in sogno è segno di grande disgrazie e di rovina. Nei paesi akan, il primo consiglio che un giovane, giunto all'età adulta, riceve dai suoi genitori è di non rubare l'oro e gli viene ripetuto costantemente che questo metallo è un feticcio dannoso e malefico; l'oro uccide con morte violenta e la sua azione colpisce la discendenza del ladro. Questi consigli sono molto spesso seguiti alla lettera a tal punto che, nel sud della Costa d'Avorio, presso gli Ebrié della regione di Abidjan, nessuno tocca un oggetto d'arte in oro che si trovi per strada. in caso contrario, colui che trova l'oro per strada fa annunciare il fatto al villaggio dal banditore pubblico in modo che lo sfortunato proprietario lo venga a sapere.
Conoscendo ormai l'idea che gli Akan hanno dell'oro invitiamo il lettore a vedere concretamente come questi popoli vivono questa ideologia nelle loro attività quotidiane.
Considerato come un essere vivente dotato di uno spirito forte e temibile, l'oro rimane uno degli elementi essenziali e
indispensabili per l'insediamento del culto di Tano e di Bia, divinità dei corsi d'acqua. Dopo diversi rituali,
si offre dell'oro al proprietario del culto d'origine per ottenere il suo diritto di trasferimento. Di ritorno al villaggio,
il prete erige un altare al suo domicilio. Si raccomanda anche di piantare, nel luogo scelto per erigere l'altare,
un albero sacro (asselé). Prima di piantare l'albero, l'officiante depone della polvere d'oro nel buco
scavato per la pianta. L'oro messo così in terra sulle radici della pianta darà più vigore alla
stessa e accentuerà il suo carattere sacro. Si colloca in seguito, ai piedi dell'albero piantato, un recipiente
di bronzo (ayawa) nel quale l'indovino pone una pallina bianca di caolino e una pepita d'oro per materializzare
e simboleggiare la divinità il cui culto si trova lì insediato.
il principale oggetto di culto degli antenati presso gli Akan è il seggio sacro. Su di esso, considerato come un altare, si offrono bevande, cibo e sacrifici ai mani degli antenati del clan e si invoca anche lo spirito del fondatore del regno. Generalmente, il piede di questo sgabello è cavo e traforato. E' costruito così per ricevere le reliquie (denti, capelli, unghie) degli antenati e una pepita d'oro.
L'oro collocato in questo luogo rappresenta il fuoco spirituale e la vitalità degli antenati. Durante il rituale delle offerte ai mani degli antenati e ai geni protettori sul seggio-altare, il patriarca che officia colloca anche lui sullo sgabello una pepita d'oro. il metallo sacro rimane una giornata in questo luogo, il tempo che dura la cerimonia. Quest'ultimo pezzo d'oro resta sempre presso il patriarca, non deve mai essere venduto o dato in pegno. La sua presenza conferisce al patriarca rispetto, potenza economica, autorità morale e spirituale sui membri della famiglia e sui sudditi del regno. E' quest'oro che dà credito e valore ai giuramenti alle preghiere e ai giudizi fatti dal patriarca in nome degli antenati.
A volte il seggio-altare è in oro massiccio. Come quello degli Ashanti di Kumasi detto Sikadiuja Koffi e quello di Kouadio Adingra Kuman, re degli Abron-Gyaman di Boundoukou. Questi oggetti di culto in oro simboleggiano l'anima del re, l'anima dello stato e l'anima della nazione. Un proverbio locale dice: il re è mortale, il seggio (regalità, stato e nazione) è immortale. il carattere permanente e immortale del seggio deriva dalla sua natura in oro massiccio e puro che sfida la prova del tempo.
La leggenda evocata per spiegare l'origine dei seggi in oro è quella del seggio degli Ashanti che risalirebbe al XVii secolo sotto il regno del re Osei Tutu, fondatore del regno di Kumasi. La storia dice che Sikadjua Koffi (nome del seggio d'oro massiccio) era disceso dal cielo un venerdì. il nome Koffi è dato a tutte le persone di sesso maschile nate in questo giorno della settimana.
Direttamente disceso dal cielo, questo seggio si era collocato davanti al monarca Osei Tutu in presenza del suo prestigioso indovino Konfuo Anokye e degli anziani del regno riuniti in assemblea. La scena fu interpretata dall'indovino ufficiale come segno della volontà degli dei e degli antenati di riconoscere Osei Tutu come il loro unico rappresentante sulla terra. L'avvenimento ha contribuito ad evidenziare la natura divina del re Osei Tutu e a mettere nelle sue mani il potere temporale e spirituale. A partire da questo storico e memorabile giorno, Osei Tutu divenne l'unico capo di tutti gli Ashanti, monarca di diritto divino e grande prete del regno.
Alcuni informatori abron-gyaman sono dell'idea che in realtà la leggenda di Sikadjua Koffi risalga all'epoca del regno di Osei Bonsu. E' al tempo di quest'ultimo che gli Ashanti avevano sconfitto e mandato a morte Kouadio Adingra Kuman, re dei Gyaman, nella battaglia di Tain vicino a Bondoukou. Gli Ashanti, come bottino di guerra e come tributo avevano portato a Kumasi il seggio d'oro massiccio del monarca sconfitto. E' il seggio abron che diventerà Sikadjua Koffi degli Ashanti, che sono, oggi, gli unici Akan ad avere ufficialmente un seggio d'oro massiccio. Sikadjua Koffi è sempre accompagnato da tre campane e tre campanelle. Due campane sono di ottone e una d'oro massiccio. Le tre campanelle d'oro sono antropomorfe e rappresentano l’effigie di tre guerrieri di alto rango vinti dagli Ashanti. Uno di questi personaggi è raffigurato con le braccia incrociate sul petto; il secondo ha un braccio sul petto e l'altro su un fianco, il terzo ha le mani posate sui fianchi.
La festa degli ignami è celebrata due volte all'anno. La prima, quella degli antenati e delle divinità, si riferisce ai re e ai capi del clan. La seconda popolare e grandiosa interessa tutti i ceti della popolazione del villaggio.
La festa degli ignami segna l'inizio del nuovo anno. il suo scopo è quello di sgomberare il paese da ogni male, rendere la terra fertile, i campi prosperi, le donne e gli animali fecondi. La tradizione vuole che il re, grande prete del paese, purifichi il suo corpo e abbia l'anima in pace per presiedere le cerimonie di culto del nuovo anno.
il rituale di purificazione dell'anima del sovrano avviene una volta all'anno. Ha luogo sovente la settimana che precede la prima festa degli ignami.
il giorno del rituale, a Nzaranou (Costa 'd'Avorio), il re, la sua prima sposa e i suoi figli si vestono di bianco. in questo giorno la sposa non deve svolgere alcuna attività domestica. All'ora indicata, il maestro cerimoniere, generalmente la persona che simboleggia l'anima (kra) del re, colloca il dja del regno sul lettuccio del re preparato per questo scopo. Questo dja contiene anche dell'oro in pepite e in polvere. il cerimoniere in seguito va a cercare il pasto rituale che colloca nello stesso luogo, prende un po' di bevanda (vino di rafia o liquore di importazione) e invoca a lungo l'anima del sovrano versando qualche goccia di questa bevanda sul dja e collocandovi sotto qualche briciola del pasto cerimoniale. il maestro cerimoniere invita in seguito i membri della famiglia reale (re, sposa e figli) a consumare il pasto che mangiano in silenzio dopo la recita, da parte del sovrano, di una preghiera spontanea al suo Kra (anima) e ai mani dei suoi antenati.
Terminato il pasto rituale, i commensali escono e rimangono in piedi davanti alla porta, mentre l'officiante ricupera i resti del pasto che collocherà sul tetto della casa rituale, vicino al teschio del montone sacrificato per le necessità del rituale. il cerimoniere getta in seguito l'acqua di una zucca sul teschio del montone e sui resti del pasto. Nel momento in cui l'acqua incomincia a sgocciolare dal tetto, l'officiante invita gli interessati ad entrare nella stanza passando sotto le gocce d'acqua. Fa in modo che ognuno riceva sul proprio corpo qualche goccia di quest'acqua. Nella stanza, il sovrano e la sua famiglia si stendono su un lettuccio, preparato a questo scopo, vicino al dja, e insieme gridano a voce alta:
Kra, Kò da o!, anima, la cerimonia è terminata, va a coricarti! Questa frase rituale pone fine alla cerimonia di purificazione dell'anima del sovrano regnante; il re, grande prete del regno, riconciliato con gli antenati e con le divinità, con l'anima purificata al contatto del dja contenente dell'oro, e con la pace nel cuore, può finalmente attendere con serenità la festa degli ignami.
Presso i Baoulé, quando un re muore, si procede alla mummificazione della sua spoglia mortale prima di inumarlo. Con delle foglie di oro puro si chiudono gli orifici considerati come sede della vita: gli occhi, la bocca, le orecchie, le narici. La tradizione dice che una volta si faceva una maschera d'oro in grandezza naturale che copriva la fronte, gli occhi, il naso, le orecchie e la bocca. Si dice che questo rituale è destinato a mantenere, al momento dell'inumazione, una parte della forza vitale del re liberata dalla morte e permette alla stessa di incarnarsi in un figlio del paese e nella terra affinché essa produca più cibo per la popolazione e per il bestiame.
Questo rituale spiega il fatto che, presso gli Akan, la spoglia mortale di ogni persona giunta all'età adulta non dorma mai in terra straniera tranne alcune eccezioni (morte in guerra o persona sparita ecc). La presenza dell'oro nelle tombe regali spiega in parte il fatto che presso questo popolo, il luogo dell'inumazione dei re rimane segreto o sorvegliato giorno e notte dai guardiani delle tombe dei re.
i monarchi degni di questo nome hanno un kuduo (scatola di bronzo o di ottone) con un coperchio ornato nel quale collocano i loro piccoli beni di prima necessità quando sono in trasferta.
Ogni anno, al momento delle cerimonie d'Adae (cerimonie che segnano l'inizio del nuovo anno), il re depone una pepita d'oro di circa 20 grammi nel kuduo in modo tale che alla sua morte, il numero delle pepite d'oro trovate nel kuduo corrisponda al numero dei suoi anni di regno. L'oro in questo caso simboleggia il tempo del regno, il tempo storico. Poiché le azioni ordinarie e le abitudini di vita da perpetuare e da trasmettere alle giovani generazioni si riferiscono al regno dei monarchi più o meno influenti, in una sequenza di tempo che influenzerà la loro vita, le loro attività economiche, politiche e religiose.
Nei tempi antichi, i ragazzi giudicati dai genitori intelligenti e capaci di cavarsela da soli nella vita, prima della pubertà (15 anni), ricevevano da questi ultimi, il giorno del compleanno, un piccolo dja completo e contenente oro in polvere il cui valore dipendeva dalla fortuna dei genitori. il re e i capi, in alcuni casi, erano tenuti a compiere queste formalità per i figli dei cortigiani.
il ragazzo che aveva diritto a questo onore si considerava arrivato all'età degli impegni civili, cioè l'età in cui si possono intraprendere operazioni commerciali con tutte le responsabilità che queste comportano.
La cerimonia indica anche che il ragazzo, arrivato all'età adulta, è ormai liberato dalla tutela paterna e familiare ed è libero di organizzare la sua vita e le sue attività economiche come vuole, secondo il suo kra (temperamento, fortuna, destino) i suoi principi e le abitudini della sua etnia e del suo villaggio. L'oro qui simboleggia la fine della tutela paterna, significa anche successo e prosperità nelle gestione delle imprese personali.
Per tradizione, presso i Baoulé del centro della Costa d'Avorio, quando due persone dello stesso villaggio, dopo animate discussioni, stanno per mettersi le mani addosso, il capo del villaggio informato delle ragioni del conflitto, prende dal suo dja due piccole maschere d'oro che consegna ai belligeranti. Accettare le maschere significa impegnarsi a cessare ogni ostilità. Colui che rifiuta la maschera è condannato a pagare una forte ammenda in oro e in natura (montone). Qualche tempo prima della consegna delle maschere, il re riunisce il suo consiglio di notabili per fissare di comune accordo la data della sentenza sui belligeranti e i loro complici.
in questa situazione, quando un Abourè dice: ntalè ètè (tengo la testa - la maschera), pone termine al conflitto. La frase mette chi la pronuncia sotto la protezione degli antenati e dei geni protettori del villaggio,
La maschera simboleggia la pace, la concordia e l'accordo degli abitanti garantiti dal ritratto in oro degli antenati fondatori del villaggio o del regno.
Chiedere in prestito una somma di denaro ad un amico o ad un'altra persona è un'azione vile, disonorevole e umiliante. Tale azione deve essere compiuta in gran segreto, senza testimoni. Quando si conclude l'affare sono presenti solo colui che ha chiesto il prestito e il suo creditore. Abitualmente, tali azioni si compiono a notte inoltrata, al secondo canto del gallo, cioè quando la stella del mattino Venus (Kotoklo), sorge a est. Per tali ragioni Venus è anche chiamata stella del povero. in questa operazione, il creditore ha come garanzia solo la parola d'onore del debitore e la speranza che una maledizione lo colpisca nel caso in cui non tenga fede ai suoi impegni. Questa credenza è legata alla natura essenzialmente divina della moneta (oro), metallo sacro fonte di potere malefico.
Si pensa che l'oro sia in grado di punire le persone che sono disoneste e animate da cattive intenzioni al momento del rimborso del prestito. Chiedere un prestito è anche considerato un atto religioso. Ciò deriva dal fatto che si pensa che il creditore, uomo ricco, agiato e appagato ignori la vera identità di chi chiede. La persona che chiede un prestito può essere conosciuta ma in realtà è un genio travestito che viene a verificare ogni diceria sul conto del creditore. Per questo motivo il prestatore si ritiene sempre obbligato a soddisfare il richiedente e mostrarsi magnanimo. Questa credenza che condiziona il comportamento dei ricchi di fronte ai bisognosi è molto importante e spiega in parte l'affabilità, il rispetto e l'ospitalità dei membri di questa etnia verso lo straniero in generale.
Se uno dei contraenti muore prima del termine fissato per il rimborso, l'altro, secondo le usanze, è tenuto a presentarsi agli eredi del defunto e far conoscere la natura dei rapporti che li legavano. La tradizione vuole che gli eredi non mettano in dubbio la sua parola; ma capita sovente che gli eredi contestino le sue dichiarazioni. in questo caso si consiglia di ricorre all'ordalia, per calmare gli spiriti. Presso gli Abè e i loro vicini di Agboville (Costa d'Avorio), il rituale dell'ordalia si chiama anaéin. Questo termine designa anche un unità monetaria che vale 14 g. d'oro. All'ora indicata per il giuramento, il patriarca della famiglia del defunto prende il dja familiare, lo apre ed estrae una figurina d'oro, spesso del valore anaéin, la consegna al creditore che, con la figurina in mano, si alza e spiega ad alta voce la natura dei suoi rapporti con il defunto. Al termine della sua spiegazione, egli si rivolge alla spoglia mortale del defunto, pronunciando questa terribile frase: "se il racconto che ho fatto non è esatto, non tardare a venire a cercarmi per un giudizio nell'al di là; che la mia menzogna si trasformi in ogni genere di calamità per decimare la mia famiglia". Finito il discorso, la figurina rituale d'oro viene riposta nel suo dja. Questo rituale pone termine al conflitto. Accettare di subire anaéin, è voler farsi riconoscere come uomo sincero e intellettualmente onesto. L'oro in questa cerimonia, garantisce la parola data in assenza di testimoni e di scritti. La parola data è uno dei pilastri delle civiltà di tradizione orale.
Di solito non si getta mai via nulla di quello che si trova nel dja. Gli oggetti, essendo a contatto con questo pacchetto contenente le reliquie degli antenati, diventano sacri e, come tali, dimorano indefinitamente nel dja. E' con questo spirito che gli Ebrié (Costa d'Avorio) cercano e ricuperano accuratamente i granelli di sabbia mescolati alla polvere d'oro che si trovano nel dja. Questa miscela viene utilizzata nella preparazione di farmaci contro gli edemi di qualunque origine.
L'adjantentu (sabbia del dja mescolata alla polvere d'oro) serve per la preparazione di medicine per curare le persone che hanno perso l'uso della parola. Questo rimedio guarisce anche l'asma e le malattie della stessa natura.
Sovente i guaritori che curano dei malati gravi chiedono ai congiunti una certa quantità d'oro (5 grammi). il guaritore offre questo oro ai giustizieri del mondo della notte per ottenere in cambio l'anima del malato che si crede sia prigioniera degli stregoni mangiatori d'anime. Capita che dopo il rituale di scambio (anima contro oro) l'ammalato ricuperi la salute mancante per ragioni diverse.
Prima della colonizzazione, la polvere d'oro era l'unica moneta in uso in questa regione del golfo di Guinea. il cauri proveniente dall'Oceano indiano e le maniglie provenienti dal Portogallo entrarono nel paese molto più tardi. Per acquistare e per pagare, bisogna pesare le diverse unità monetarie con l'aiuto di una bilancia e di un pesa-moneta. Ogni pesa-moneta è considerato come moneta di conto. E' dopo essere stata pesata che la polvere d'oro diventa moneta di scambio ed elemento di transazione commerciale. La moneta di conto è in ottone, la moneta di scambio è l'oro.
i pesa-moneta non si danno in cambio delle merce acquistata; il proprietario li conserva, e consegna al commerciante solo una quantità di polvere d'oro in cambio della merce ricevuta
La più piccola unità monetaria si chiama dama e pesa 0,014 g.; la più grande unità monetaria si chiama ta e pesa circa 50 g. oro. Tra questi due valori ci sono 31 unità. in totale il sistema monetario akan comprende 31u + 2u = 33 unità comprese all'interno di 8 serie di valori monetari diversi.
Per funzionare, il sistema utilizza due elementi: un elemento debole detto valore femminile ed un elemento forte detto valore maschile. i valori deboli servono a prestare e i valori forti a rimborsare. La differenza tra valore maschile (moneta forte) e valore femminile (moneta debole) costituisce il guadagno del creditore.
i nomi delle diverse unità monetarie costituiscono un vero codice sociale. Eccone qualcuna:
Pwa : valore monetario che si consegna ad un ragazzo per le sue spese giornaliere.
Kokowa: prezzo d'acquisto di un pesce vecchio di una settimana.
Koko: prezzo d'acquisto di un pollo vecchio di tre mesi.
Dwou: prezzo d'acquisto di un paniere di mandorle di palma.
Bodommo: prezzo d'acquisto di un collier di perle d'aigri in pasta di vetro.
Nsano: prezzo d'acquisto di quattro anfore di vino di rafia (ricompensa che spetta ad una persona che ha reso un servizio).
Soa: prezzo d'acquisto di una zappa.
Fiaso: prezzo d'acquisto di un'ascia.
Asoba: prezzo che il figlio che ha offeso suo padre paga per ottenerne il perdono.
Tya: somma da dare ad una persona per convincerla ad intraprendere un'importante impresa che comporta un trasferimento e delle spese.
Gua: somma da pagare per riunire il consiglio dei notabili che devono pronunciarsi su un problema importante.
Tra: prezzo d'acquisto di un montone o di una capra.
Ta: prezzo d'acquisto di un bambina svezzata.
Ndagnon: prezzo d'acquisto di due bambini dello stesso sesso o di sesso diverso svezzati e chiamati gemelli.
Benna: somma per pagare l'adulterio della moglie del re o del capo.
La polvere d'oro acquisita in modo fraudolento, nelle transazioni commerciali, da un commerciante disonesto, non porta sfortuna al ladro; poiché la polvere d'oro è oro morto, dunque meno dannoso dell'oro in pepita, metallo vivo che non tollera alcuna ingiustizia, frode o furto.
La società Adioukrou è una società di lignaggio. Al di sotto di questa struttura di base, c'è una società dei ricchi. il termine Angbandji designa le cerimonie d'integrazione di un nuovo membro nella società dei ricchi.
Le cerimonie durano un mese. iniziano il primo lis de Fampo (primo giorno della prima
settimana della piccola stagione secca).
Prima di informare i membri angbandji dell'intenzione di proporre un candidato, lo zio materno
di quest'ultimo riunisce un consiglio di famiglia al quale prendono parte i membri dei due
lignaggi (paterno e materno). Questo consiglio ha lo scopo di conoscere l'ammontare delle
somme da impegnare per le cerimonie e ciò che ogni membro presente sarà in grado
di dare. E' necessario precisare che la famiglia materna dell'interessato sostiene le spese
maggiori. il contributo della famiglia paterna rimane simbolico.
il primo dovere del candidato, alla data indicata, consiste nell'offrire ogni specie di bevanda:
vino di palma, vino rosso, liquori, ecc.., a tutti i membri angbandji del villaggio. Deve in
seguito pagare un'imposta di una quindicina di migliaia di franchi. Questa fase preliminare
è destinata a provare ai membri della società angbandji che il candidato è
sufficientemente agiato per soddisfare le loro esigenze.
il più anziano dei soci, in presenza di tutti i membri riuniti, fissa al candidato la
data del versamento della somma da pagare per essere membro della società angbandji.
L'ammontare dell'imposta può raggiungere parecchie centinaia di migliaia di franchi.
La seduta di verifica dell'ammontare richiesto viene fatta in presenza dell'assemblea dei
membri angbandji alla quale vuole appartenere. E' un'operazione puramente formale poiché
il candidato che non ha la somma necessaria non affronta mai la società angbandji
alla quale vuole appartenere. il candidato ha la possibilità di chiedere una proroga
del termine fissato. Asoba o 3 g. oro è l'ammontare del primo versamento. La seconda
settimana, il candidato offre due montoni: uno alla sua famiglia materna e uno alla sua
famiglia paterna. i membri della società angbandji hanno diritto solo ad un abbondante
pasto accompagnato dal vino di palma. il decano prende un po' di cibo e di bevanda che offre
agli antenati della società pregandoli di ricevere il nuovo membro, di prenderlo sotto
la loro protezione, di dargli felicità, salute e molti figli.
La terza settimana, inizia il ritiro dell'iniziato; dura una settimana. Un ramo di palma
rimane piantato davanti alla sua casa. Ma prima, il candidato deve dare quattro bottiglie
di liquore ai membri della sua nuova società. Durante il ritiro (consegna a domicilio),
la festa continua. La gente mangia e beve a spese del nuovo ricco che conduce in privato
una vita principesca. Durante questo tempo, la sposa dell'iniziato trascorre il suo tempo a
distribuire cibo ai membri dei due lignaggi del marito.
Ogni pomeriggio, vestita di bianco
e ornata di gioielli d'argento, si fa accompagnare da due damigelle d'onore per una
passeggiata attraverso il villaggio. E' durante questa settimana che, sotto una tettoia
di ricchi addobbi, ha luogo l'esposizione pubblica del tesoro (pepite d'oro, polvere d'oro,
gioielli d'oro) del nuovo ricco e quelli del suo clan.
La quarta settimana, il nuovo angbandji dà ancora da mangiare e da bere a tutti. Questo rituale precede un secondo ritiro la cui durata varia secondo il clan al quale appartiene l'iniziato. Quest'ultimo ritiro segna la fine delle cerimonie d'angbandji.
Nel paese adioukrou, colui che non ha fatto il suo angbandji e esposto l'oro, è considerato, qualunque sia la sua fortuna, come un uomo di bassa condizione sociale. Non ha il diritto, nel corso di una riunione pubblica, di prendere la parola per esporre le sue idee, non è rispettato e non è tenuto in alcuna considerazione.
il termine Adimantchi è composto da andi e da ntchi. il primo
significa "esporre per far ammirare"; si applica soprattutto ad una donna che, dopo
il parto, esce, ornata di gioielli d'oro di grande valore, per una passeggiata nel
villaggio. Ntchi, è l'oro. Andimantchi si traduce letteralmente : "esporre l'oro".
Colui che fa la cerimonia è ntandi (colui che ha esposto l'oro pubblicamente).
Andimantchi è la cerimonia nel corso della quale un membro del clan porta dell'oro
al tesoro familiare. Andimantchi è anche la cerimonia di passaggio di una persona
di modeste condizioni alla classe dei notabili e dei ricchi. Essa permette di beneficiare
del prestigio, del rispetto di cui gode il re. Per questo motivo, l'interessato è
consultato e la sua opinione conta in tutti i problemi concernenti gli interessi del villaggio.
Le cerimonie d'andimantchi iniziano sempre un yablè (diciasettesimo giorno del mese
rituale) di qualunque stagione.
in origine, questa cerimonia era un vero culto reso all'oro e in questa occasione, i re che
possedevano una grande quantità d'oro venivano deificati.
i sette clan costitutivi di ogni villaggio hanno ognuno un tesoro formato dall'oro in pepite
e in polvere e da gioielli d'oro di grande valore. Questo tesoro è il risultato di
contributi, di doni e di imposte che i patriarchi del lignaggio matrilineare avevano fatto
sin da quando esiste il popolo ébrié. Questi oggetti possono essere dati in
pegno nell'interesse di tutti i membri della famiglia, ma mai venduti. il contributo minimo
richiesto dalle usanze è di 8 ta (quattrocento grammi d'oro).
il giorno riservato alla cerimonia del dono dell'oro al tesoro del clan dà luogo,
ancor oggi, a grandi festeggiamenti nel corso dei quali si beve e si mangia a spese del
nuovo ricco. Durante le manifestazioni, si espone su più tavoli tutta la fortuna
in oro del clan dell'interessato.
L'esposizione dei beni o del tesoro nel mezzo del cortile del patriarca dura una giornata e
termina la sera con il tramonto.
C'è da notare che l'onore e il rispetto dato al titolo di ntandi (ricco in oro),
è un privilegio personale che non si può trasmettere agli eredi legittimi.
Un matrimonio non può qui essere contratto che dopo la consegna di beni comunemente
chiamati "dote" o compenso matrimoniale. Quest'ultimo comprende generalmente beni in natura e
in contanti. La consegna dei beni in natura ai genitori della sposa, i vini per esempio,
costituiscono l'atto principale e decisivo del matrimonio. Ma l'unione così realizzata
può essere realmente suggellata, benedetta agli occhi della comunità del
villaggio solo se è garantita con étè suke (somma di denaro in oro).
Questa somma una volta come oggi, è 1 ta = 50 grammi d'oro puro. Viene consegnata alla
famiglia paterna della sposa dal padre dello sposo.
Eté suke è infatti un obbligo morale esercitato sulla sposa affinché non
abbandoni mai il domicilio coniugale per futili motivi. infatti, le usanze esigono che i
genitori della sposa rimborsino étè suké (garanzia del matrimonio) prima
che la sposa abbandoni il domicilio coniugale. Poiché l'oro in questione si trova
presso il padre o presso la famiglia paterna la sposa non sarà in grado di restituirlo
seduta stante se desidera andarsene. informati del conflitto il padre e lo zio interverranno
per cercare di riconciliare i coniugi.
Eté suké garantisce il matrimonio, lo rende solido, serio e duraturo.
La sua restituzione mette termine al matrimonio; c'è allora un divorzio con tutte
le conseguenze e i problemi sociali che ne derivano.
L'oro unisce, suggella il matrimonio; rompe e scioglie i legami coniugali. infine, senza oro,
non c'è matrimonio; il matrimonio è l'oro.
Vero essere vivente dal potere soprannaturale, si crede che l'oro possa dare felicità, riuscita, salute, longevità e fortuna a tutti quelli che lo associano alle loro attività politiche, sociali e religiose, non come denaro, ma come un dio preoccupato degli interessi e del divenire dei suoi fedeli.
Georges Niangoran - Bouah
Per altre splendide immagini sulla cultura ashanti vi veda il sito:
Ashanti da cui sono tratte alcune di queste foto.