Il discorso escatologico è sempre difficile da fare, perché
l'invisibile è sovente ineffabile, l'intoccabile indescrivibile, l'ignoto inafferrabile.
Le società Akan, l'Agni in particolare non possono scappare a questa norma.Ma ciò
che è difficile da descrivere, forse che non esiste?
Lontano da noi una tale affermazione! Se c'è qualcosa che salta
agli occhi dell'etnologo, anche quello più distratto, è proprio il riferimento
costante dell'Aldiqua all'Aldilà e la presenza permanente dell'Aldilà
nell'Aldiqua.
Il nostro proposito, dunque sarà quello di offrire qualche
punto di riferimento, semplice ma indispensabile, che ci permetta una comprensione
escatologica che abbia qualche probabilità di affondare le sue radici nella
verità culturale.
L'uomo Akan non è senza speranza. Tutti i grandi riti e
le più belle feste architettati dalla società tradizionale perseguono ed
esplicitano l'identico scopo: la purificazione, la protezione e l'accrescimento della
vita. La vita dell'Akan è un inno alla vita e una ricerca della vita.
Quest'uomo non poteva, dunque, pensare il suo avvenire nei termini
di una scomparsa definitiva della vita. E, ciò che è nello stesso te mpo
paradossale e meraviglioso, la cultura si serve anche della morte per far scaturire la vita.
L'insieme dei riti funerari, in effetti, non è che una fine strategia
ambivalente che mira, da una parte, à contenere la morte e, dall'altra, a sprigionare
la vita.
Volendo riassumere una problematica che oltrepassa lo scopo del presente
studio, potremmo affermare che i funerali Akan restringendo il campo d'azione degli effetti
nocivi della morte, si propongono di rivitalizzare tutta la società, obbligando il
gruppo a ricomporre l'unità frantumata e assicurandogli la protezione di un nuovo
abitante dell'Aldilà. Nel contempo, i funerali rivitalizzano anche il defunto,
perché lo generano al mondo degli antenati.
La società gioca con la morte e gioca la morte. E il paradosso,
come lo dicevamo poco fa, consiste in questo: dalla morte nasce la vita; un vivente-morto
diventa, mediante una terapia tanatologica, un morto-vivente, un abitante dell'Aldilà.
È la maniera culturale Akan per mostrare che la morte non ha
l'ultima parola nella visione antropocentrica che è la sua. La morte, in effetti,
è vissuta e non subita, come l'inizio di un viaggio che condurrà il defunto
da questo mondo all'altro mondo. La morte è avvertita come il passaggio da un modo
di vita ad un altro.
Uno dei corollari della concezione antropocentrica sviluppata
dalla cultura il geocentrismo: l'orizzonte dell'uomo abbraccia, ma non oltrepassa la terra.
E questo è facilmente costatabile quando si vuol parlare di
Aldilà. Il Boro, come lo chiamano gli Agni, è concepito secondo un modello
umano, una riproduzione del mondo nel quale viviamo.
L'Aldilà si situa sotto terra. Ogni etnia, ogni villaggio ha il suo Aldilà sotto la sua terra. Certuni affermano che si situa sotto il cimitero di ogni villaggio. Ciò che è certo è che a Boro abitano tutte le generazioni di coloro che hanno compiuto il loro cielo vitale terrestre. Da qui scaturisce l'importanza, se non la necessità, di morire nel proprio villaggio e, nel caso si muoia in terra straniera, l'obbligo per gli umani, di fare di tutto per riportare il corpo nel proprio villaggio. Da qui, ancora, la delicatezza e il rispetto degli abitanti del villaggio nei confronti dello straniero che muore da loro. Lo seppelliscono ai bordi della strada che porta al suo paese. La morte l'ha sorpreso lontano dalla sua famiglia ma destreggiandosi tra i sentieri del regno di Boro potrà raggiungere la terra del suo villaggio e raggiungere così i suoi antenati. Laggiù, il panorama che si presenta agli occhi di chi vi arriva per la prima volta, è quello di un villaggio pulito, bello, circondato da un muro. L'acqua e il cibo vi si trovano in abbondanza.
Gli abitanti di Boro vivono ad immagine di quelli che hanno lasciato sulla terra. Vi svolgono le stesse attività: chi va ai campi, chi a caccia, chi prepara e vende cesti, chi estrae e beve il suo vino di palma. Sentono gli stessi bisogni: c'è un tempo per lavorare, un tempo per mangiare e bere, un tempo per riposarsi. Coltivano le stesse relazioni: gli sposi ritrovano i loro partners, i genitori i loro figli, gli anziani incontrano i giovani, gli amici si vedono nuovamente. Certi pensano che la procreazione è permessa, altri no.
Anche in questo l'Aldilà assomiglia molto a quanto si vive sulla terra. Il villaggio è strutturato nello stesso modo. Vi ritroviamo il capo con i suoi notabili, gli uomini liberi e gli schiavi. L'uomo vi conserva i suoi privilegi rispetto alle donne. Gli anziani vi mantengono il monopolio della parola e la sua gestione autoritaria. Il tribunale tradizionale non dimentica di giudicare e punire il distanziarsi pericolosamente dalla norma, perché il benessere laggiù come qui passa attraverso la ricerca e il mantenimento dell'armonia intracosmica.
Per raggiungere Boro, non si può fare a meno di un
lungo viaggio disseminato di tante e differenti insidie. Per arrivarvi, occorre
attraversare un grande fiume e questo richiede l'aiuto di un piroghiere. Occorre
salire su una collina e come fare per arrivarci senza l'aiuto di alcuni giovani.
Certe volte il sentiero è irriconoscibile perché nascosto dalle erbe
troppo alte e dagli arbusti; occorre, allora, chiedere a qualcuno di ripulirlo dai
cespugli. E che dire di tutte le insidie e degli incontri pericolosi a cui si va incontro?
Ciò che è certo è che il viaggio ha tutta l'aria di un cammino
d'iniziazione. Il defunto non è che l'eroe dei racconti iniziatici che parte
alla conquista della fecondità, di un segreto, ecc. I racconti non sono avari di
tali descrizioni. Nel caso presente si tratta di acquisire un nuovo statuto, quello di
morto-vivente.
Nei due casi, il protagonista deve affrontare molte prove che saranno
per lui un esame di ammissione. La sua saggezza, la sua destrezza, il suo rispetto degli
anziani e della tradizione, la sua umiltà, la sua disponibilità verso le
persone che si trovano in difficoltà sono tutte qualità che gli procureranno
l'aiuto di coloro che incontrerà. Il rituale Agni dei funerali utilizza un altro
procedimento per far vedere che la morte fisica è considerata come l'inizio di un
lungo e faticoso viaggio: i cibi offerti al defunto.
Sono di due specie, a seconda che si tratti di cibo preparato prima o
dopo il seppellimento.
Prima dell'inumazione, si tratta di un pranzo di festa: igname pestato
nel mortaio, salsa di arachidi, carne. Si depone il tutto accanto al letto mortuario,
all'altezza della bocca del defunto. Durante la sua malattia si è molto indebolito,
ha bisogno dunque di un buon pranzo per rifare le sue forze e intraprendere il viaggio
inter-mondano. Tre giorni dopo l'inumazione viene preparato un altro pranzo per il defunto,
ma di tutt'altro genere. Contrariamente all'uso solito, si fanno cuocere nello stesso
recipiente la carne gli ignami. Questi non sono pestati nel mortaio come di solito, ma
vengono schiacciati con le mani per farne delle palline. Si mette il tutto in un
recipiente fabbricato all'uopo, che la sorella agnatica del defunto, camminando a ritroso,
va a deporre sulla tomba. Si mostra così, anche nel modo stesso di preparare questo
pranzo, che il modo di vita del defunto è cambiato e per questo non si nutre più
allo stesso modo dei terrestri. C'è dunque, nel contempo, rottura (non è
più lo stesso genere di pranzo) e continuità (siamo però ancora
in presenza di un pranzo). Per il fatto stesso che gli si offre quest'ultimo pasto, si
vuole anche significare che se il defunto non è più ciò che era
prima della morte fisica, non è però sparito nel nulla: sussiste altrove,
altrimenti.
Nato a questo mondo senza bagagli, l'uomo non nasce all'altro mondo senza bagagli. Il defunto, in effetti, prende la strada dell'Aldilà con un equipaggiamento molto vario. È composto di doni per lui e di doni e messaggi per altri.
È senza dubbio il termine 'dotazione' quello più indicato per mostrare che colui che si sta generando alla vita dell'Aldilà subisce, in un certo modo, le iniziative della società-madre. Si dota il defunto come si dota il bambino che viene sulla terra o come la giovane che la società genera alla vita di donna: madre e sposa. Ci sono, prima di tutto i cauri. i soldi, i gioielli, la polvere d'oro, le stoffe vestimentarie, le coperte, ecc. Il viaggiatore ne avrà bisogno per ricompensare il piroghiere, la gente che ripulisce il sentiero, i giovani che l'hanno aiutato a salire la montagna, ecc. Bisogna, dunque, che possa disporre di un po' di beni, per portare a termine il viaggio inter-mondano che ha intrapreso. Il suo corpo verrà, dunque, adornato di gioielli, nelle sue tasche saranno messi dei soldi, nella tomba verranno deposte delle stoffe vestimentarie, ecc.
Il defunto, per il fatto stesso che intraprende un viaggio tra due società, diventa un intermediario, un mezzo privilegiato di comunicazione tra i due mondi: il visibile da cui viene e l'invisibile in cui va. È per questo che parecchie stoffe vestimentarie che sono state messe nella tomba non sono per il defunto, ma gli sono state solamente affidate. Ciò che gli viene chiesto è di avere la gentilezza di darle a tale o talaltro parente o amico che abita nell'Aldilà.Questi doni, che possono essere fatti anche per delle persone estranee alla famiglia del defunto, hanno per scopo di far vedere agli antenati che ci si ricorda di loro e che si vuole così ringraziarli dei benefici di cui gratificano i viventi-sopra-la-terra. Ma il defunto è anche portatore di messaggi verbali che gli sono stati affidati. Si tratterà di chiedere a tale antenato di continuare a vegliare sulla sua famiglia terrestre, o di ricordare a tal altro le difficoltà nelle quali si trovano i suoi, o molto semplicemente di portare i saluti a un membro defunto della famiglia. Tutto questo mostra chiaramente il posto che occupa la comunità nell'ultimo viaggio di un individuo: non deve essere e sentirsi solo. È una comunità, infatti che lo aiuta a nascere Altrove; è in nome di una comunità che si presenta nell'Aldilà; sono i doni e le parole di una comunità che egli porta agli abitanti di Boro.
Ognuno ha diritto di entrare a Boro, salvo i suicidi. Costoro sono destinati a vagare senza fine, senza mai poter raggiungere il Regno degli Antenati. I suicidi, in effetti, si sono resi colpevoli di due peccati gravi. Prima di tutto, hanno distrutto, di testa loro, un bene comunitario per eccellenza che li ingloba e li supera: la vita. Ora, non si tocca impunemente alla vita. In seguito, volutamente, non hanno rispettato i criteri (tempo, luogo, maniera) che fanno della morte una buona morte, negando così alla società la possibilità di svolgere la propria funzione materna, mediante la quale essa genera alla vita dell'Aldilà uno dei suoi membri. A parte questo caso, la società non rifiuta mai l'iniziazione suprema ad uno dei suoi figli. Questa insistenza sulla società non è dovuta al caso. In una cultura che sottolinea più il sociale che l'individuale, la comunità più della persona, non si ha difficoltà a pensare che i criteri di accesso a Boro non sono quelli che insistono maggiormente sull'individuale. Di fatto, l'accesso al Regno degli Antenati non è basato sulla qualità morale del comportamento terrestre di un individuo. La concezione di una salvezza o di una dannazione post-terrestre, conseguenza di un comportamento terrestre morale o amorale di una persona, sembrano non trovare fondamenti nella concezione escatologica Akan. La retribuzione per il bene e per il male non è nell'Aldilà, ma si situa nell'Aldiqua. In questo senso, si capisce anche perché un re non muore mai solo. Le spose, i dignitari, gli schiavi che lo seguono nella tomba rappresentano non solo un aiuto per le difficoltà del viaggio o il personale di cui avrà bisogno a Boro, ma soprattutto un mezzo che la società terrestre mette a disposizione del sovrano perché l'Aldilà l'accolga con tutti gli onori dovuti al suo rango.
Come l'abbiamo già detto, le virtù
morali di una persona contano e influenzano solo la qualità dell'accoglienza
"L'entrata di un nuovo arrivato nell'altro mondo sarà accolta con delle acclamazioni
frenetiche o con un silenzio carico di odio, e lo scambio delle notizie si svolgerà
nella gioia o prenderà una forma sarcastica a seconda che l'uomo avrà passato
la sua vita a fare il bene o il male".
L'accoglienza dunque sarà fredda
*per colui che sulla terra non ha pensato che a se stesso, ai suoi interessi
personali, senza preoccuparsi degli altri
* per colui che si è reso colpevole di crimini di stregoneria
* per colui che ha contravvenuto agli interdetti
* per colui che non ha soddisfatto i suoi doveri verso gli antenati
Certi affermano che, quando il piroghiere si avvicina a Boro con un
passeggero che si è comportato male sulla terra, la gente gli grida: "Torna indietro!
Non venire qui!". Ciò che è certo è che gli abitanti dell'Aldilà
mostreranno in mille modi il loro disprezzo nei confronti di un ultimo arrivato che ha vissuto
male. E che cosa c'è di più grave in una società in cui i legami
interpersonali sono molto stretti e indispensabile ai fini di una vita tranquilla, che
di sentirsi respinti e disprezzati? Il vivere come il sopravvivere non possono capirsi,
in questo sistema cultura le, che all'interno di una comunità accogliente e
protettrice. D'altra parte, è fatta buona accoglienza a colui che sulla terra
ha soddisfatto ai Suoi doveri di padre, di sposo, di membro della società del
villaggio, di 'prete' degli antenati ...A questo punto è bene ricordare un dono
molto ambito da coloro che intraprendono il viaggio verso l'Aldilà: i capelli.
Quando termina il lutto, la tradizione prescrive che i membri della famiglia del defunto
si rasino la testa. Tutti gli amici, le conoscenze che hanno beneficiati del suo aiuto,
dei suoi consigli, della sua bontà, ecc. di solito fanno lo stesso. La quantità
di capelli gettati sulla tomba testimonierà agli occhi degli abitanti dell'Aldilà
del numero di persone colpite da questa morte e nello stesso tempo della stima e dell'affetto
di cui godeva il defunto presso i viventi-sulla terra. Sarà la migliore arringa che
la società può pronunciare in suo favore: i viventi-sotto-terra ne terranno
conto per accoglierlo favorevolmente e accordargli un buon posto nel loro Regno.
Quanto abbiamo appena detto ci permette di considerare questo
nuovo paragrafo concernente gli abitanti di Boro. Sono tutti degli Antenati? Basta penetrare
nel regno dell'Aldilà per accedere a questo statuto? Ecco due domande alle quali dobbiamo
cercare di dare una risposta, prima di ogni altra disquisizione. Se tutti gli antenati sono
degli abitanti di Boro, tutti gli abitanti di Boro non sono degli antenati.
Per diventare antenati, in effetti, ci sono alcune condizioni che bisogna rispettare durante la permanenza
sulla terra.
Prima di tutto, bisogna aver raggiunto l'età adulta. Un neonato,
un giovane, anche se vivono a Boro non sono, dunque, considerati degli Antenati. Ma questo
titolo non sarà conferito neanche ai celibi, perché un adulto è, per
definizione, una persona sposata.
In secondo luogo, occorre che la morte fisica di un individuo
sia riconosciuta come naturale, ora questo non capita sovente. Di fatto, essa non concerne che
il vecchio ricolmo di giorni, di discendenti e di beni che domina la sua morte, togliendole
la sua incertezza riguardo all'ora, al luogo e alla maniera. Tutte le altre morti hanno poche
possibilità di essere considerate come naturali, perché sono meno accidentali
di quanto sembrino lasciarlo credere.
Ci sono, in seguito, coloro che non sono morti
nell'integrità fisica o psichica, come i lebbrosi, gli epilettici, gli idropici,
coloro che sono stati colpiti dalla malattia del sonno o dal vaiolo, i malati mentali, ecc.
Debitori di una concezione che considera ogni malattia come punizione per un peccato
commesso, tutti questi defunti non entreranno mai nella lista degli antenati.
In quarto
luogo, è indispensabile aver condotto sulla terra una vita esemplare. Non è
pensabile, in effetti, che un mangiatore d'anime, un assassino o un altro fautore di
disordini su questa terra divenga un partner benefico dei terrestri nell'Aldilà.
Da qui l'usanza, durante i funerali, non solo della toilette e del trucco
fisici ma anche quelli, molto più importanti, della toilette e del maquillage morali,
che consistono nel far l'elogio di colui che è appena partito per Boro.
Infine,
l'antenato è sempre un membro della famiglia, completamente. Lo straniero, anche
se adottato ed integrato, non può mai pretendere a questo statuto. Detto questo,
possiamo parlare del culto che viene reso agli abitanti dell'Aldilà, che siano
antenati oppure no.
Prima di tutto, occorre precisare che non si tratta di un culto di
adorazione ma di venerazione. I morti-viventi, in effetti, non sono considerati come delle
divinità, ma come dei membri invisibili di una sola e stessa famiglia. Il culto di
cui sono oggetto, può essere privato o pubblico. Ogni famiglia venera i suoi defunti,
sovente e senza sbandierarlo. Ogni persona pia, in effetti, non beve mai senza versare
dapprima qualche goccia di bevanda per loro. Inoltre, si ha cura di offrir loro il primo
boccone di ogni pasto.
In certi luoghi, la sera, viene lasciato nella cucina un piatto,
riservato, in modo speciale, a loro. Accanto a questo culto privato, c'è un culto
pubblico che, almeno presso gli Agni, conosce la sua apoteosi il giorno della festa degli
ignami, festa delle primizie, dell'anno che ricomincia, del rinnovamento personale e
comunitario. Ogni famiglia, allora, fa memoria dei suoi partners invisibili, ma tutti
le famiglie venerano gli antenati della tribù, quelli del capo, in particolare,
che è il successore attuale e la persona più vicina all'antenato fondatore.
Questa festa raggiunge il suo apice nei riti riguardanti il seggio ancestrale autentico
altare degli antenati e simbolo del potere politico-religioso del capo Il capo, dopo aver
fatto le libagioni e aver ricordato la lista dinastica, fa deporre davanti al seggio un
po' d'igname schiacciata, aggiungendovi olio di palma. Gli antenati sono invitati dunque
a mangiare, per primi, i nuovi ignami.
Infine, offerta più ambita dagli antenati,
si cosparge del sangue delle vittime il seggio ancestrale. Compiuto questo, ogni famiglia
si occuperà dei suoi partners invisibili, evocando il loro ricordo, offrendo loro
cibo e bevande, chiedendo la loro intercessione.
Benché la società Akan sia profondamente religiosa,
l'escatologia di cui stiamo tracciando alcune linee, si rivela di fatto atea. Atea non nel
senso che respinge Dio, ma piuttosto che essa si struttura senza riferimento diretto e
costante a Dio. Non rifiuto, dunque, ma 'ignoranza' di Dio Ancora una volta, l'altra vita
è modellata partendo da questa. Là come qui Dio non occupa che un posto relativo.
Sempre e ovunque l'uomo è e resta uomo, con un avvenire d'uomo, in un mondo solamente e
puramente umano. Questa concezione porta con sé due conseguenze importanti.
La prima consiste nell'affermare che l'avvenire dell'uomo non è
Dio. Nell'Aldilà non si aspetta di diventare l'intimo né il servo di Dio. Il
suo orizzonte è umano. Mai, di fatto, si fa cenno di Dio nei racconti e nelle credenze
religiose riguardanti l'Aldilà. Non essendo chiamato a condividere la vita di Dio,
l'uomo non intrattiene alcuna speranza di veder migliorare la sua vita, sia dal punto di
vista ontologico o semplicemente umano e sociologico. Da una parte, in effetti, pensa che
alla fine del viaggio non vi sarà trasformazione ontologica per lui. Dall'altra,
egli sa che nell'Aldilà la persona rimarrà quella che è. Infelice qui,
lo sarà anche là. Beato ora, lo sarà anche dopo. Il capo sarà
sempre capo, e lo schiavo non sarà mai che schiavo.
La seconda conseguenza è che l'Aldilà non prevede alcuna
istanza capace di dare un giudizio giusto, equo. In effetti, se si osserva bene,
il tribunale degli antenati non fa che ratificare il giudizio del tribunale terrestre.
L'Aldilà accoglie il viaggiatore come i viventi-sulla-terra gli hanno significato
di accoglierlo. Non c'è un'istanza incaricata di rettificare i giudizi terreni. Boro è dunque un luogo
di ratifica e mai di rettifica. In questo modo dunque vi viene esercitata una giustizia umana, con i suoi margini di
ingiustizia. Può capitare allora che un uomo che ha saputo nascondere abilmente il male che ha fatto, e per
questo ha ricevuto al momento dei funerali il suo lasciapassare, sia ricevuto e ricevuto bene a Boro.
Un altro, invece, fondamentalmente buono e onesto, ma che per giochi a volte oscuri e misteriosi della
giustizia del villaggio, è stato dichiarato colpevole al momento dei suoi funerali, sarà ricevuto
nell'Aldilà, ma sarà ricevuto male. E questa sentenza terrena non lo lascerà mai più.
Tutto questo ci porta a dire che Colui che poteva assicurare una giustizia imparziale e riparatrice dei torti
subiti su questa terra, non trova posto a Boro. Nell'Aldilà non c'è posto per un Dio, giusto rimuneratore.
Quanto afferma Adiafi Kouassi, a proposito degli Agni, può riassumere molto bene quello che abbiamo appena
detto e sembra riflettere completamente ciò che vive e pensa la gente: "Se Nyamien (Dio) interviene nella sua
vita, non lo fa per comunicargli la sua vita divina che è riservata a lui solo: l'Agni non si aspetta per nulla
di essere divinizzato, ma cerca solamente l'aiuto di Dio per la realizzazione della sua vita, rimanendo sempre a livello
umano. A dire il vero, il fine ultimo dell'uomo, è l'uomo stesso; il perpetuarsi del suo proprio esistere.
Si può dire, senza rischiare di sbagliarsi che né Nyamien, né la partecipazione alla sua gloria
o alla sua felicità, non sono per nulla lo scopo della vita dell'uomo Agni. Vive di Nyamien e a causa di Nyamien,
ma non per raggiungerlo né per glorificarlo".
Dappertutto e forse soprattutto nell'altro mondo ci troviamo di fronte all'epopea dell'antropocentrismo, dell'umanesimo
centripeto.
La tradizione culturale è unanime nel dichiarare che il mondo dell'Aldilà e questo qui non sono che due fasi contemporanee, successive, interdipendenti e intercomunicanti di uno stesso universo vitale circolare. Questo enunciato che, nella sua formulazione, può sembrare un po' contraddittorio, cela in sé delle verità molto profonde e ben ancorate.
È senza dubbio l'affermazione che richiede meno spiegazioni. I due mondi, da un punto di vista obiettivo, coesistono. I viventi-sulla-terra esistono nello stesso tempo che i viventi-sotto-terra. L'Aldilà non inizia nel momento di un'ipotetica scomparsa dell'Aldiqua.
Il ciclo vitale di una persona è composto di tre fasi successive: la pre-terrena, la terrena e la post-terrena. La prima e l'ultima si situano nell'Aldilà, la seconda nell'Aldiqua. Quello che ci interessa qui, sono evidentemente le due fasi invisibili che si situano nell'Aldilà. Un neonato che viene in questo mondo non fa che lasciare l'altro mondo. Non spunta dal nulla. Lascia la fase invisibile per la visibile, l'Altrove per il Qui. Viene in superficie. Il defunto lascia questo mondo per l'altro. Sparisce da qui per riapparire là. Diciamo bene riapparire perché si tratta per l'individuo di ritornare là da dove viene. In effetti, la vita di un uomo non che un morire da qualche parte per rinascere altrove. La sua vita terrena non che la fase emergente del suo ciclo vitale. In questo contesto il morire e il nascere sono delle chiuse situate alla cerniera dei due mondi. Esse aprono il passaggio dal mondo dei viventi-sulla-terra al mondo dei viventi-sotto-terra, e viceversa.
"'L'umanità - scriveva Comte -, è composta più da morti che da viventi'. In Africa nera tradizionale non vi è nulla di più vero perché i viventi invisibili (i trapassati), soprattutto se hanno raggiunto la condizione di antenati, si situano accanto ai viventi visibili (che sovente li sollecitano) e intervengono frequentemente, in maniere diverse certo, nella loro esistenza". Questa citazione esprime bene quanto vogliamo sottolineare ora e anche l'aspetto d'inter-comunicazione di cui parleremo fra poco. I due mondi non sono a compartimenti stagni tra di loro, di modo che occorra abbandonare completamente l'uno per entrare in contatto con l'altro. Al contrario, sono permeabili l'uno all'altro: si compenetrano e non escludono le interazioni. I terreni vengono in aiuto ai defunti. Invocare il loro nome, dar loro cibo e bevande, offrir loro il sangue delle vittime immolate, è mantenerle in uno stato si sopravvivenza personale. La morte, infatti, è sempre in agguato. Il suo lavoro di spersonalizzazione del defunto deve essere contrastato in molte maniere se non si vuole che costui cada nell'oblio e così alla morte fisica ne segua una morte sociale e quasi ontologica. Ma anche i terrestri hanno molto bisogno degli abitanti di Boro. Coloro che hanno raggiunto l'Aldilà beneficiano di nuovi poteri, come un sapere superiore Che permette loro di conoscere l'avvenire e di spiegare il presente e la parte di mistero che vi si nasconde, ecc. Di tutto questo hanno bisogno i viventi-sulla-terra per allontanare, per poco che sia, il peso insopportabile del caso, per spostare di qualche lunghezza la frontiera dell'ignoto. Ma di più, l'esistenza sulla terra non è solo ricerca di senso ma anche di vita. E come far sì che il seno delle donne e della terra sia fecondo, che le malattie e la carestia siano allontanati, che i bambini e i raccolti arrivino a maturazione, se non con il loro concorso e la loro protezione? Ognuno dei due mondi ha bisogno dell'altro, e la pace, la prosperità e la felicità esistono quando i legami reciproci sono rispettati, mantenuti e sviluppati. In questo contesto, la Terra è l'elemento di congiunzione dei due mondi, l'intermediario necessario tra due categorie di viventi: i viventi-sulla-terra e i viventi-sotto-terra. È per suo tramite che il sangue delle vittime e le bevande delle libagioni passano da un mondo all'altro. È mediante essa che il tuo essere diventerà antenato. La Terra è giustamente la terra degli antenati, a doppio titolo: gli antenati passati l'hanno coltivata tempo fa e gli antenati futuri la coltivano attualmente; gli antenati passati vi riposano e quelli futuri vi riposeranno.È anche per questo che la terra è inalienabile. È un po' come una madre: oggi ti nutre e domani ti accoglierà nel suo seno. Chi osa vendere sua madre? Chi potrebbe vendere la terra? Sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti degli antenati che su di essa hanno vissuto e che ora vivono sotto di essa; ma sarebbe anche una grave imprudenza nei riguardi di se stessi: non è forse questa terra che ti accoglierà? Non è forse sotto questa terra che tu potrai rivedere i tuoi?
Non vogliamo parlare qui che dell'irruzione che talvolta fa l'Aldilà nell'Aldiqua, stabilendo così
una comunicazione unidirezionale.In che modo, dunque, gli invisibili entrano in contatto, in modo più
sperimentabile, con i visibili?
C'è prima di tutto l'interrogatorio del cadavere.
Il defunto, facendo muovere in una direzione o in un'altra i giovani che portano una specie di barella sulla
quale sono state attaccate le sue reliquie, si propone di mostrare colui che è all'origine della sua morte.
Un altro mezzo, per il defunto, di comunicare con l'Aldiqua è la possessione. Gli abitanti di Boro si servono
quasi esclusivamente di donne per trasmettere ai terreni i loro desideri o, ancora una volta, per indicare il colpevole
della loro morte. È il caso, al momento del pasto del settimo giorno che conoscono certi Agni, in cui una ragazza
che porta un piatto di cibo al defunto, sette giorni dopo la sua morte, entra in trance e parla sotto l'influenza di
costui. C'è infine una gamma molto varia di apparizioni. Un vivente sotto-terra può apparire a un
vivente-sopra-la-terra: sia per annunciargli che ora abita a Boro sia per provocarne la morte perché non
gli vuol bene sia per chiedergli di compiere certi riti in suo onore e in suo favore. Comunque sia, è certo
che alla gente non piace incontrare di persona un abitante dell'Aldilà: è dì cattivo auspicio.
E questo non contraddice quanto dicevamo poco fa sul bisogno che hanno i terrestri della protezione dei morti-viventi.
In effetti, si ritrovano sempre questi due aspetti: gli abitanti dell'Aldilà sono nel contempo desiderabili e
indesiderabili. Può darsi che i terrestri ricerchino il contatto con i morti-viventi nella misura in cui possono
conservarne l'iniziativa, come quando si tratta di evocazioni familiari o di celebrazioni rituali comunitarie, e temono
invece la loro presenza quando fanno irruzione all'improvviso in questo mondo. L'improvviso, infatti, come l'ignoto fa
sempre paura, perché è difficilmente dominabile.
La tradizione sembra concepire il desiderio dell'Aldilà
solo per due categorie di persone:
- i vecchi ricolmi d'anni, di bambini e di beni, che aspirano a rivedere
coloro che li hanno preceduti a Boro
- e la gente che su questa terra non hanno avuto che
disgrazie e che chiedono quindi agli abitanti dell'altro mondo di venirli a cercare.
Messi
da parte questi due casi, una constatazione s'impone con forza: la prospettiva della morte
non alletta nessuno e nessuno ha fretta di ritornare nell'Aldilà. Comunque la pensi
Amon D'Aby, la morte non è sentita come "il più bell'avvenimento nella vita
di un uomo" e "le dolcezze dell'Aldilà" non sono in grado di mettere in movimento le
folle.
Non per nulla gli Abidji chiamano la morte "la disgrazia'. E non è senz'altro con
il cuore pieno di gioia che gli Agni citano il proverbio: "Dio ci ha fatto belli, ma la
morte ci rende tristi". Come mai questo? Numerose possono essere le spiegazioni: nessuna
esaustiva, ma contenenti tutte una particella di verità. Boro è il regno
dell'ignoto: nessuno sa che cosa ci aspetta. Ora, l'abbiamo già ripetuto, l'ignoto
non essendo dominabile, fa paura. Il viaggio che conduce a Boro è pieno d'insidie e
anche se il defunto può farsi aiutare, è solo, in ultima analisi, a
prendere le decisioni che s'impongono. Ora, la solitudine non piace.
L'accoglienza a Boro, come sarà?
Se per caso gli antenati hanno qualcosa da ridire sul comportamento terreno del
defunto, sarà in grado di sopportare di essere messo da parte dalla società
degli antenati, per essere votato alla detestazione e al disprezzo pubblici? Ma c'è
senz'altro un motivo meno chiaro da concettualizzare e più difficile da esprimere,
ma che conserva tutta la sua importanza: la paura di una certa diminuzione ontologica
progressiva. Benché si affermi che è l'uomo tutto intero, vivente su un
altro piano, che sussiste nell'Aldilà, la tradizione è formale anche
nell'affermare che la morte provoca un disordine fondamentale all'interno stesso
della persona: essa opera una dissociazione del composto umano (sonan = persona).
Il corpo (wonãã = carne) diventerà cadavere (fuin) e
conoscerà la putrefazione. Il doppio invisibile del corpo (wawuè),
in caso di morte naturale dell'individuo se ne va a Boro. Il principio
vitale personalizzante (Kra) raggiunge sempre l'Aldilà. Appena arriva
laggiù, non si chiamerà più l'individuo sonan (individuo corporeo),
ma womin (morto-vivente). Allo stesso modo, la parola ngoan (vita) non viene utilizzata
per parlare di Boro I defunti, in effetti, non 'vivono' nell'Aldilà, essi 'sono'
là. La parola ngoan, la sola per parlare di vita, non concerne dunque che la vita
terrestre. La morte fisica mette un termine al ngoan. E la fine di ngoan inaugura per
l'individuo un cambiamento di stato.
In questo contesto, si capisce perché i viventi-sulla-terra non stimino
oltre misura i nuovi poteri di cui godono i viventi-sotto-terra. Questi, infatti,
non si ottengono che a scapito dell'unità ontologica della propria persona.
È vero, dunque, che l'entità 'io' sussiste a un altro livello, su un
altro piano, ma questo stato di 'sopra-vivente' non affascina nessuno. Potremmo far
vedere ancora in un altro modo, il fatto che si preferisce vivere nell'Aldiqua piuttosto
che nell'Aldilà. E questo tramite il richiamo profondo che esercita questo mondo
qui sugli abitanti di Boro. Esso si manifesta, essenzialmente in due modi:
A) Prima di tutto, gli abitanti dell'Aldilà frequentano i villaggi, le piantagioni, le case che furono le loro. Ricercano la vicinanza delle donne incinte, in modo da pesare sul bambino che deve nascere. È cosi che i neonati possono avere dei segni nel corpo o un carattere che ricorda tale o tal altro abitante di Boro. È un mezzo per i viventi-sotto-terra di riportare i piedi sulla terra, ritornando, in certo e qual modo, nei e attraverso questi bambini.
B) Ma la tradizione prevede una seconda possibilità per i morti-viventi di ritornare sulla terra. Gli abitanti dell'Aldilà possono, in effetti, ritornare in questo mondo non più solo per persona interposta, come nel caso precedente, ma in persona. Una sorta di reincarnazione dunque, difficile da cogliere e da esprimere.
Ciò che è certo sta in queste poche affermazioni:
- una persona che non ha avuto il tempo di terminare la sua traiettoria normale sulla terra a causa di un incidente o di una malattia che lo ha stroncato nel bel mezzo della vita, ha la possibilità di ritornare e questo per sette volte, finché il suo ciclo vitale sia compiuto;
- di fatto non si tratta di ricominciare ex novo il periplo terreno normale di una persona (nascita, crescita, morte); colui che ritorna riprende la sua vita sulla terra all'età in cui la morte fisica l'ha sorpreso; in pratica, non fa che prolungare la sua esistenza anteriore;
- questa riapparizione sulla terra si situa sempre altrove che nei luoghi dove ha vissuto in un primo tempo, perché colui che ritorna non deve essere riconosciuto, pena lo sparire e il ritornare precipitosamente a Boro. La città, con il suo anonimato, è dunque un luogo privilegiato di 'reincarnazione';
- uno che ritorna non conosce più la morte come la prima volta. Molto semplicemente sparisce quando è riconosciuto come uno che è ritornato.
Tutto questo mostra chiaramente, da quale lato pende la bilancia: il Qui è molto più attraente
e preferibile che l'Aldilà.
Eccoci arrivati al termine di questo studio che, l'abbiamo detto all'inizio,
si proponeva semplicemente di offrire qualche coordinata per orientarsi nella problematica
dell'escatologia Akan. I punti oscuri sono ancora tanti. Ma, in ogni religione, l'Aldilà
non è forse circondato di mistero e forse che non si rifiuta, in un certo modo, a una
troppo grande precisione di concetti e di rappresentazioni? Comunque, le differenti etnie che
compongono il gruppo Akan, nella diversità della loro ubicazione geografica, delle
loro lingue e delle loro culture, hanno saputo conservare alcune verità fondamentali
in cui tutti si riconoscono e che stanno a testimoniare quindi la loro origine comune. L'uomo
Akan rifiuta di considerare la morte come la fine della sua vita. Mediante una terapeutica
di cui conosce i segreti, obbliga la morte a produrre senso e vita. Si assicura così
una vita post-terrena che fonda la sua fede profonda e intensa nell'Aldilà.
Pieno del culto per l'uomo rivendica una sopravvivenza personale e non accetta di sussistere
in una sorta di anonimato collettivo. Uomo, profondamente uomo, non può pensare per
il suo avvenire che un mondo di uomini, alla maniera umana. Uomo della Terra, si offre la
possibilità di abitarla dai due lati. Uomo della vita, preferisce pur sempre questa
a quella futura. Uomo di comunione, mette costantemente in comunicazione l'Aldilà
con l'Aldiqua, e intesse dei legami benefici tra i viventi-sotto-terra e i viventi-sulla
terra. Ovunque e sempre, quest'uomo che crede nell'uomo, rende l'uomo re.
Renzo Mandirola
(Pubblicato con il titolo "Le refus de mourir. Aperçu sur l’eschatologie Akan", in Studia Missionalia, vol. 32, 1983, 49-70)